Mosto di uva addolcito con la cenere e mescolato a farina e mandorle. Hai già capito di cosa parliamo? Della mostarda siciliana o mustata in dialetto, una delle ricette più antiche e tradizionali della nostra cucina siciliana. Hai già pensato di proporla nel tuo menu? Ti spieghiamo come si fa e le sue origini, così conquisterai i tuoi ospiti col gusto e con qualche curioso dettaglio!
La mostarda del Sud
La mostarda siciliana non ha nulla a che vedere con quella preparata nelle regioni del Nord: è infatti dolce, e non piccante come l’omonima settentrionale, e si realizza con l’aggiunta di mandorle tostate, fiori di garofano, farina e cenere. Ovviamente ogni parte della Sicilia ha la sua versione, ma vediamo quali sono i passaggi principali nel preparare questa squisitezza.
Il mosto che diventa dessert
Settembre, si sa, è il mese dell’uva: le vigne si animano di mani indaffarate nella raccolta degli acini e i profumi della vendemmia addolciscono le prime giornate autunnali. Oltre a essere destinata alla produzione del vino e al consumo da tavola, parte dell’uva raccolta viene trasformata in mosto per preparare la mostarda, appunto. Ecco come si fa!
Il mosto, un succo dalle tantissime proprietà benefiche, dall’aspetto scuro e dal profumo intenso, è mescolato con la farina (ideale sarebbe aggiungere un pizzico di cenere bianca di legno). Si lascia riposare per qualche ora e poi si filtra per evitare la formazione di grumi. A questo punto si versa in una pentola capiente e, a fuoco lento e mescolando con frequenza, si porta a ebollizione. Si uniscono le mandorle tritate e qualche chiodo di garofano, si lascia riposare qualche minuto e si versa in coppette o formine di terracotta: ce ne sono dalle forme davvero particolari, perché non scegli uno stampo che richiama la Sicilia o, ancora meglio, un dettaglio del tuo locale? Conquisterai i tuoi clienti anche con questi dettagli!
Puoi servirla fresca o, se preferisci, farla asciugare e proporla più densa o persino asciutta. Il tocco finale? Una spolverata di cannella!
La cucina di un tempo: povera di ingredienti, ma ricca di bontà
Un piatto semplice e genuino, come hai visto, che richiama la cucina povera di un tempo: nulla andava sprecato, così i contadini raccoglievano gli acini che non potevano essere usati per la produzione del vino o quelli avanzati e li “riciclavano” in un dolce (senza zucchero, come avrai notato), dalle proprietà energizzanti e che piaceva a grandi e piccini!